La Grande Guerra

di Mario Camaiani

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La teleferica

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Mio padre, classe 1897, partecipò al conflitto della prima guerra mondiale con ardore patriottico: a quel tempo l'amor patrio era molto sentito da tutta la popolazione; e la guerra contro gli austriaci, nostri nemici storici, rappresentava l'occasione per completare il ciclo delle guerre dette d'indipendenza, onde annettere all'Italia quelle terre ancora irredente, nel nordest del Paese, con le città di Trento e Trieste, le più significative. Al vertice del Regno d'Italia c'era la Casa Savoia, la quale era la massima artefice dell'unità nazionale; e il ritratto del sovrano regnante era esposto nelle scuole, negli uffici pubblici, e così via: personalmente ricordo che in casa dei miei nonni paterni appeso d una parete c'era un ritratto della famiglia Savoia.

Babbo fu aggregato nel corpo del genio, categoria teleferisti. Questi svolgevano un compito molto importante dato che il fronte, statico per lunghi tempi, era situato sulle Alpi Orientali per cui rapidi spostamenti di pattuglie e di materiali leggeri avvenivano rapidamente da un'altura all'altra, da un monte all'altro, per mezzo di funivie militari che venivano approntate e messe in opera da detti soldati specializzati. Da notare come i genieri, punto o scarsamente armati, non partecipavano ai combattimenti per cui considero un fatto positivo che mio padre, direttamente, non abbia ammazzato alcuno.

Era una 'vitaccia', quella che conducevano i militari al fronte, vivendo in anfratti, in ripari posticci, nelle trincee, esposti a tutte le intemperie, come alla pioggia battente, al vento vorticoso, al gelo invernale, al caldo torrido d'estate, ed alla sporcizia, alle malattie; ma anche creando e coltivando amicizie: ed ecco che babbo, fra gli altri amici commilitoni, entra in confidenza con Vittorio, un contadino lombardo della provincia di Bergamo, che gli parla della sua famiglia, gli mostra le relative foto, in particolare quella della sua fidanzata, Clementina, una ragazza campagnola forte e piacente che, già dalla foto, ispirava simpatia e fiducia. Poi, nelle serate i soldati si impegnavano in conversazioni, in canti, quelli nazionali, militari e non, ed anche in canzoni dialettali, ché i soldati provenivano da tante parti del Paese. Qualcuno pregava, sommessamente, con discrezione, ma le sue preghiere giungevano pure al cuore degli altri, che vi partecipavano interiormente. Tutto questo ed altro, quando però lo consentiva la calma del fronte, il ridotto fuoco delle artiglierie: ma tutti sempre pronti ad ubbidire ai comandi dei superiori che spesso arrivavano con urgenza di esecuzione.

Come quella volta, nottetempo, che improvvisamente giunse l'ordine di accompagnare un gruppo di militari sulla teleferica, ed il sergente ad alta voce chiamò, per questo incarico, mio padre ed un altro teleferista. Ma babbo era ammalato dal giorno precedente, con violenta tosse e febbre, ed allora il sergente, accertatosi della cosa, incaricò Vittorio di prendere il suo posto. La navetta partì, diretta ad una sommità lungo la linea del fronte, ma ecco che dai bagliori prodotti dallo scoppio delle cannonate gli austriaci la individuarono e, con le apposite artiglierie, cominciarono a spararle contro. I proiettili esplodevano in aria mentre il vagoncino aereo procedeva alla massima velocità finché, purtroppo, uno di questi scoppiò in sua prossimità, provocando morti e feriti.

Ebbene, una delle vittime fu proprio Vittorio, quel geniere che sostituiva mio padre.

Foto dall'Archivio Rigali (per gentile concessione dell'associazione Perché la tradizione ritorni – La Befana)



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